martedì 18 marzo 2014

Alla ricerca della notifica scomparsa.

Io gli ufficiali giudiziari li adoro e - per questo motivo - li coccolo e me li curo. Ormai li conosco quasi tutti e sulla mia rubrica telefonica c'è il numero di ciascuno di loro. 
Quando li chiamo, gli chiedo prima come stanno e - se rimane tempo- anche del destino dell'atto che gli ho affidato.
Oggi per me doveva essere un giorno fortunato: mi avevano assicurato che mi avrebbero restituito l'atto di citazione che avevo notificato il 3 marzo scorso ( 15 giorni fa) ed io ero felice.
In realtà, per ritirare il suddetto atto, ero già stato tre volte allo sportello, ma l'addetto - che, sebbene ignori che i termini processuali non si fermano il sabato e la domenica, nel suo ruolo è un assoluto genio ("E’ passata una settimana? Quindi solo 5 giorni lavorativi, ja non andare di fretta", "sono passate solo due settimanelle, quindi solo 12 giorni lavorativi con due lunedì e due venerdì in cui si pensa al week end imminente e a quello appena trascorso, ja non fare sempre tutto di fretta") mi sa prendere per il verso giusto e mi dice sempre, con estrema gentilezza, di tornare il martedì successivo come se mi stesse invitando a prendere un the a casa sua.
E' talmente simpatico che non potrei mai arrabbiarmi e quasi mi sento in colpa per la mia l’illegittima pretesa, così - ogni volta - sommessamente gli chiedo quando potrò tornare senza disturbare ulteriormente.
In fondo, per fare un buon the, ci vuole pazienza e perseveranza.
Eppure stamattina ero del tutto convinto che fosse il mio giorno e, dopo aver fatto vanamente la solita fila chilometrica premurandomi che non si infilasse il solito avvocato più “navigato” degli altri convinto che la fila sia un divertissement riservato ai più giovani,  ci sono talmente male del responso negativo che ho deciso di indagare in prima persona andando a parlare direttamente con l’ufficiale incaricato di effettuare la notifica da me richiesta.
Orbene, appena ho chiesto di sapere il nome del predetto ufficiale, l’addetto allo sportello del ritiro atti si è fatto improvvisamente serio, si è abbassato fino al punto in cui il plexiglass che ci separa è tagliato e mi ha sussurrato sottovoce – come se mi stesse rivelando un segreto di stato - il nome che volevo dandomi un pizzino con tutte le indicazioni della stanza.
Dopo esser salito di due piani, mi sono trovato circondato dagli ufficiali giudiziari che, sentendosi attaccati nel loro territorio, mi osservavano guardinghi in attesa di una mia parola:
-          “Buongiorno, sto cercando la dott.ssa AlfaBeta”
-          “E’ appena uscita, il suo numero di telefono è segnato dietro la porta”.
Non demordo e subito prendo in mano il mio cellulare per contattare la dott.ssa AlfaBeta medesima, ma non faccio in tempo.

Una signora, appena arrivata, mi guarda e mi chiede con una leggerissima inflessione toscana:
-          “E’ lei l’avvocato che sta cercando la dottoressa AlfaBeta? Sono io”.
Finalmente siamo al redde rationem, penso.  Spiego il mio problema e spiego che, da 15 giorni, non si sa che fine abbia fatto il mio atto.
La signora sembra preoccupata, in effetti il mio è un bel problema e bisogna cercare di risolverlo al più presto, ma intanto - nel ripetermi più volte che ha avuto la febbre e non è potuta andare al lavoro – è chiaro che sappia come muoversi:
-          “Avvocato, torni allo sportello giù e si faccia dire qual è il numero cronologico”.
Corro, stavolta saltando la fila e giustificandomi con i sorpassati per non fare la figura di quello più navigato degli altri.
Nessuno protesta, sanno che è la mia è  una kulturkampf che va supportata.
Quando torno sopra, l’ufficiale AlfaBeta fa una breve ricerca tra le sue carte, poi sentenzia:
“sa, ho avuto la febbre:  torni domani senza fare la fila giù, ma direttamente da me così glielo faccio trovare”.
Domani è il mio giorno fortunato, lo sento.

Se riavrò la mia creazione, giuro che non mi ci separerò mai più.

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